Secondo le “Linee guida per la raccolta fondi degli enti del Terzo settore”, una partnership con un’impresa for profit potrebbe essere caratterizzata da varie tipologie di collaborazione, fra cui le principali e più comuni sono le seguenti:
- erogazioni liberali;
- donazioni di beni e servizi;
- cause related marketing (CRM) (un’attività di marketing nella quale la donazione è subordinata alla transazione, cioè al ricevere un bene in cambio del denaro);
- sponsorizzazioni;
- payroll giving (con il quale l’azienda propone ai dipendenti di devolvere, per esempio, un’ora del proprio lavoro a un’iniziativa sociale attraverso una trattenuta nella busta paga);
- realizzazione di eventi in partnership.
Premesso che in questo delicato rapporto tra ente non profit e imprese ciò che rileva fiscalmente è l’esistenza di un rapporto sinallagmatico tra i due soggetti (e, quindi, la possibilità che si configuri l’esercizio di attività commerciale in capo all’ente non profit), anziché di liberalità che esclude un rapporto di reciprocità delle operazioni testé citate, nel presente contributo ci occuperemo della cause related marketing.
Nella prassi degli enti non profit si sta diffondendo il cause related marketing che rappresenta una tecnica di marketing commerciale, volta ad intervenire sul sociale anziché sul prodotto. È un approccio al mondo non profit che le imprese prediligono perché rende più immediato e visibile il collegamento con l’ente non profit. Le forme sono le più svariate ma, nella sostanza, l’impresa sostiene l’ente non profit mediante la vendita di un suo prodotto, con il logo dell’ente, e ristornando parte del ricavato o finanziando un progetto sociale all’ente secondo precisi accordi. In alcuni casi, l’utilizzo (cessione) del marchio è evidente, in altri meno, ma è comunque chiara la commercialità dell’operazione (spingere la vendita del prodotto). L’Amministrazione Finanziaria, con la risoluzione 14.11.2002, n. 356, ha chiarito che laddove l’ente non profit consenta l’utilizzo della propria denominazione dietro il versamento di una somma di denaro, di fatto finisce per attuare un’attività riconducibile nello schema negoziale della sponsorizzazione, che rileva, ai fini fiscali, come attività commerciale.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, vi è un unico caso in cui il contributo in questione può non essere tassato in capo all’ente non profit: è la situazione in cui la possibilità di associare il marchio dell’impresa committente al logo dell’ente non profit avvenga nell’ambito di una raccolta occasionale di fondi promossa dall’ente non profit [vedi art. 143, c. 3, lett. a) Tuir e art. 79, c. 4, lett. a) CTS]. Per la detassazione del contributo, l’Agenzia delle Entrate indica un’ulteriore condizione: la prevalenza delle somme versate dall’impresa di pubblicità (cioè, il contributo per il progetto umanitario) rispetto al valore economico della prestazione pubblicitaria ricevuta. Quindi, l’Agenzia esclude lo schema negoziale della sponsorizzazione soltanto nell’ambito delle raccolte fondi occasionali.
A ciò si aggiunga che qualora parte del contratto in parola sia una Onlus, nella risoluzione citata l’Agenzia delle Entrate giunge alla seguente conclusione: “Si segnala altresì al riguardo che qualora l’ente che concede l’utilizzo del proprio marchio sia una Onlus, detta attività [a meno che non rientri nelle condizioni e limiti previsti dall’art. 108, c. 2-bis, lett. a) Tuir] dovrebbe ritenersi ad essa non consentita, pena la perdita della qualifica di Onlus”.
Ci siamo soffermati su quest’ultimo punto, anche se è stata prevista l’abrogazione delle Onlus (art. 102 D.Lgs. 117/2017), per ribadire un concetto che appare basilare nella riforma: l’attività commerciale non è preclusa al Terzo settore.
A seconda delle modalità con cui viene svolta (in forma imprenditoriale o meno) si avrà una collocazione specifica (ETS o impresa sociale) alla quale sono collegate specifiche agevolazioni fiscali.
In conclusione, circa le modalità della raccolta fondi, bisogna dire che esse possono essere le più diverse. Possono spaziare dalle forme più tradizionali (es. mailing) a quelle più moderne (es. face to face, corporate, ecc.).
Quello che rileva, sotto il profilo fiscale, è il nesso di corrispettività tra le prestazioni del beneficiario e del donatore, che, in qualche modo, si richiama allo schema dello scambio. Se non c’è sinallagma, non c’è commercialità, e, quindi, rilevanza fiscale. In quest’ottica, in base all’analisi che è stata svolta (si veda anche interpello n. 356/E/2002), non dovrebbe rilevare fiscalmente, ad esempio, la donazione effettuata a un ente in relazione a un evento di beneficenza, o, comunque, per finalità di carattere sociale, durante il quale viene esposto il marchio dell’impresa donatrice, ai soli fini di un ringraziamento per il contributo ricevuto.