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La cura e l’incuria del verde pubblico

13/06/2019

Articolo di Vittorio Mason dell’Associazione culturale Le Tracce
 
“Chi non raccoglie il poco non raccoglie neanche il tanto”. Con questo assunto molti anni fa Mario Rigoni Stern cercava di portare l’attenzione sull’importanza di guardare anche alle piccole cose e di non sprecare nulla. Gli faceva eco Andrea Zanzotto con un altro monito: “Un bel paesaggio una volta distrutto non torna più. E se durante la guerra c’erano i campi di sterminio, adesso siamo arrivati allo sterminio dei campi”.

Partiamo dalle parole di questi 2 grandi scrittori per cercare di porre l’attenzione sulla cura che si dovrebbe avere per il verde pubblico, il territorio e l’ambiente in cui viviamo. Ma per parlare di cura e tutela ambientale bisogna passare prima per il significato di ambiente, “ambiens”, che vuol dire “quello che ci circonda” e che per paradosso noi abbiamo circondato e assalito nonostante l’articolo 9 della Costituzione italiana reciti: “La Repubblica tutela il paesaggio e il territorio storico e artistico della Nazione”.


La capitozzatura è sintomo di incuria del verde pubblico

Per citare un caso pratico, il Veneto si sono perduti 38 ettari di terreno coltivabili al giorno. La Provincia di Treviso ha solo un metro quadro di terra per abitante e nel Veneto lo spazio verde disponibile per ognuno di noi si riduce a 6 metri quadri, incluse le aree montane. Inoltre il Veneto è la seconda regione italiana più cementificata d’Italia e la provincia di Treviso quella con più cave di ghiaia.

Se si considera che ci vogliono 500 anni prima che un pezzo di terra cementificato ritorni ad essere coltivabile e che questi dati sono l’immagine della nostra quotidianità, possiamo ben comprendere in quale luogo viviamo e come sarebbe auspicabile che nelle scuole venisse introdotta una nuova materia: educazione ambientale, per sperare in un futuro di uomini più responsabili.

Avere cura della Terra vuol dire amare sé stessi, garantirsi dei frutti e il sostentamento.  Avere cura della terra significa ricercare il rapporto sacro che ne deriva, rinnovando il patto d’alleanza con la Madre Terra e ritrovando il legame che ci unisce. La bellezza e la ricchezza della vita sta anche nella varietà: più colori, più umori, più specie viventi sono sinonimo di biodiversità. È diverso vedere un campo con solo un fiore e un altro con molte varietà. Questa è la bellezza! Tutto l’ecosistema si regge sui caratteri distintivi di più specie e l’uno alimenta l’altro, tutto l’ecosistema interagisce.  Se si rompe la catena, lentamente la vita muore.

La devastazione che negli ultimi anni il nostro territorio ha subito, ha avuto come conseguenza una perdita d’identità, causando nuove sindromi e forme acute di malattie dovute al disagio di sentirsi senza punti di riferimento, fuori dal proprio ambiente, spaesati. Per non parlare dell’aumento delle malattie respiratorie e dei tumori.

Togliere campi, terra, verde, siepi e alberi significa togliere bellezza, respiro, orizzonti e senso di appartenenza ad un luogo. Come diceva Theodore Rosevelt (presidente Usa e premio Nobel per la pace) “la civiltà di una nazione si misura anche dal modo in cui sa proteggere il suo territorio”. Anche le siepi spartitraffico, le alberature delle strade, i prati e gli alberi di un giardino pubblico svolgono un’azione importante. Non si dovrebbero mai mortificare l’incuria, l’abbandono o la capitozzatura degli alberi. Senza gli alberi la vita non sarebbe possibile: se c’è una sacralità da riconoscere è quella della Terra e della Vita.