La crisi della foresta Amazzonica

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La crisi della foresta Amazzonica

Incendi, siccità e inquinamento dell’aria. L’Amazzonia è afflitta in contemporanea da questi gravi problemi e la situazione non è destinata a migliorare a breve

di Elena Fracassi

L’Amazzonia brucia e la siccità che la sta colpendo aggrava ulteriormente la situazione già delicata. 

Dati ufficiali dell’Istituto Nazionale della Ricerca Spaziale hanno registrato a ottobre 11.378 incendi nello Stato di Parà e 3.858 nello Stato di Amazonas (2.700 solo nei primi 11 giorni del mese). Il mese di novembre, nei primi sei giorni, conta già 1.916 focolai in Amazzonia. 

Gli incendi nella foresta amazzonica non sono purtroppo una novità e le cause sono spesso dolose. L’obiettivo dei roghi, infatti, è quello di “strappare” spazio agli alberi per creare pascoli che possano essere utilizzati per la crescente domanda dell’industria degli allevamenti intensivi di bovini o per essere convertiti in terreni agricoli adatti alla coltivazione di soia. L’assenza di piogge, le alte temperature del periodo e il basso livello del Rio delle Amazzoni favoriscono l’avanzare dei fronti di fuoco che divorano sempre più parti di foresta. L’aria sta diventando sempre più irrespirabile e ci sono giorni in cui non si riesce a vedere il sole, affermano gli abitanti dello Stato del Maranhão, Stato che sta maggiormente patendo le conseguenze di questo circolo vizioso. 

La siccità prolungata, infatti, frutto di tre mesi senza piogge, ha abbassato in modo considerevole il livello del Rio delle Amazzoni, provocando grossi disagi alla navigazione fluviale, via principale, e a volte unica, di trasporto per molti villaggi e per la stessa Manaus (Stato di Amazonas), importante porto commerciale e snodo fluviale. Secondo le misurazioni ufficiali rispetto allo scorso anno il fiume si è abbassato di almeno 4 metri, raggiungendo il livello record di 13,59 metri: il risultato è la non navigabilità per baie in secca e poca profondità per battelli e navi. La protezione civile brasiliana avverte che ci sono almeno 158 villaggi del tutto isolati. Danni anche all’economia basata sul turismo che si è completamente fermato, proprio a causa delle vie fluviali non praticabili e degli incendi in corso.

L’assenza prolungata delle precipitazioni è dovuta al surriscaldamento delle acque dell’Oceano Atlantico settentrionale e di quelle dell’Oceano Pacifico equatoriale. La foresta amazzonica, a causa degli incendi che bruciano la vegetazione, non riesce ad avere la sua naturale umidità, che in passato la proteggeva, e invece di catturare la Co2 grazie al suo polmone verde, sta rilasciando dannosi gas serra nell’atmosfera. 

A rischio, quindi, sono l’ecosistema e la biodiversità dell’Amazzonia: ampi spazi di foresta si stanno trasformando in aree secche e aride, dove la ricrescita potrebbe non essere più possibile. 

Questo è un circolo vizioso dove anche le cause naturali come la siccità sono dovute alle azioni dell’uomo (inquinamento in primis) e dove l’uomo stesso continua a peggiorare la situazione con gli incendi. I cambiamenti climatici hanno raggiunto anche l’Amazzonia e le conseguenze saranno a larga portata, visto il valore dell’ampia presenza degli alberi per bilanciare le emissioni di Co2.

Il nuovo governo brasiliano guidato da Luiz Inácio Lula da Silva sta cercando di invertire la rotta apertamente pro deforestazione del precedente presidente Jair Bolsonaro e in effetti dall’inizio dell’anno c’è stato un calo delle opere di deforestazione, però mancano tuttora sanzioni attive ai danni di chi appicca incendi intenzionalmente e politiche di serio impegno alla lotta contro la deforestazione. 

Ad agosto, infatti, il Brasile ha sprecato un’occasione preziosa: il vertice degli 8 Paesi amazzonici non ha firmato l’impegno per la deforestazione zero entro il 2030. Inoltre, il governo si è reso disponibile all’esplorazione petrolifera alla foce del Rio delle Amazzoni e anche il suo programma green del biocombustibile presenta dei rovesci di medaglia. Infatti, il biocombustibile prodotto con i grassi di scarto dell’industria della carne e gli oli vegetali, tra cui olio di palma e di soia, potrebbe portare soprattutto a un maggior investimento nella coltivazione di questi due vegetali, convertendo aree forestali in modi più o meno legali.